Primo giorno – venerdì

Venerdì mattina, al porto di Bastia, sbarcarono una decina di motociclette con i suoi rispettivi conducenti, e con a seguito “bancali e bancali” di entusiasmo!!! Avevamo deciso per ovvie ragioni organizzative di accompagnarci un bagaglio minimale e strettamente necessario, ma alle componenti euforia ed eccitazione non era stato fissato alcun limite. A dire il vero, avevamo tutti notato alcuni segnali di questo entusiasmo già la sera prima, percorrendo la famosissima Serravalle, l’ultimo tratto di autostrada per raggiungere Genova da Milano, e ne avevamo avuto conferma durante l’attraversata notturna: pochi riuscirono a chiudere occhio… chi per l’eccitazione del primo tour del giovane motoclub, chi per il pensiero della moto “parcheggiata” nella pancia della nave e chi, diciamocela tutta, anche per la scomodità di poltrone, divanetti e sedie della nave. Ma le ore di sonno avevano poca importanza, noi fremevamo per salire finalmente in sella e sentire il vento sulla pelle, il rombo del motore nelle orecchie e l’odore di benzina pervaderci il naso. Chi ha avuto o ha una moto sa di cosa parlo.
Appena sbarcati era mattina presto e ci dirigemmo verso Cape Corse, con l’obiettivo di percorrere il famoso dito, la parte più impegnativa, più lunga e più affascinante dell’itinerario giornaliero. La conformazione di questa striscia di terra corsa che si protrae nel mar Tirreno ha proprio la forma di un dito indice di una mano, è tortuosa, a tratti montuosa, e regala scorci a picco sul mare e con panorami a perdita d’occhio. Le strade non erano (e credo nemmeno ora lo siano) semplicissime e comode come nel resto della Corsica; si alternavano tratti ottimamente asfaltati ad altri ammalorati da avvallamenti o dal classico sporco di terriccio misto a sabbia. Un tratto nel quale l’attenzione alla guida è indispensabile, e se si desidera ammirare il paesaggio, è meglio fermarsi.





Fu così che facemmo due soste per spezzare il tragitto. La prima doverosa e pressoché immediata: a circa una ventina di chilometri da Bastia ci godemmo il primo bagno della stagione; la spiaggia di Pietracorbara, a quell’ora del mattino ancora deserta, fu da cornice a quel breve ma intenso momento che risuonò di liberazione, a sprigionare una parte di entusiasmo che avevamo accumulato come pentole a pressione di emozioni. La maggior parte di noi, i più strategici, si erano preparati indossando un costume da bagno sotto la tuta in pelle, i più alla buona sfoggiarono slip e boxer intimi di qualsiasi marca e modello. Ma che importava? In quel momento ci saremmo buttati in mare anche completamente nudi, in barba a qualsiasi pudore!!!
Giusto il tempo di asciugarsi al sole come gabbiani, somiglianza data soprattutto dal candido colore della nostra pelle a inizio estate, risalimmo in sella e dopo altri chilometri e qualche fermata veloce per scattare delle foto al panorama, la seconda sosta fu nel paesino di Nonza. Qui la strada si stringe ed è necessario prestare molta attenzione nella guida. Il piccolo villaggio è abbarbicato su di uno spuntone di costa, in equilibrio, quasi sospeso nel vuoto. Luogo ideale per un pranzo veloce (ancora presto per noi), qualche respiro fuori dal casco e per ammirare lo spettacolo che la spiaggia di Nonza regala, adagiata proprio sotto lo strapiombo che la divide dal paesello. Il paesaggio che i colori di questa lunghissima spiaggia regala è quasi surreale. Sembra quasi di origine vulcanica, ma ahimè, la sua natura è un po’ meno romantica. Il tipico colore verde nero è dato dall’amianto di una vecchia miniera, che ha disperso in mare i materiali di sbiancamento della tossica materia prima. Le autorità competenti, dopo appropriate analisi, hanno sancito che in quella forma le particelle non siano respirabili e quindi pericolose. La spiaggia è quindi agibile e raggiungibile dal centro del paese tramite una scalinata di 500 gradini. Vuoi il timore, vuoi la fatica di risalire la scalinata, la spiaggia era completamente deserta e perfetta per essere fotografata.
Risalimmo in sella dopo la breve sosta, prima in direzione San Fiorenzo, a cui dedicammo giusto il tempo di una sigaretta e per sgranchirci le gambe, successivamente verso Calvi, dove ci fermammo per una sosta più tranquilla da dedicare al pranzo. Era ormai iniziato il primo pomeriggio e dopo il pasto ci aspettavano ancora un centinaio di chilometri per raggiungere Evisa, comune di circa 200 abitanti, situato a pochi chilometri da Piana, sulla costa nord ovest dell’isola.
Percorremmo la strada D81B, che nel primo tratto subito dopo Calvi, seppure tortuosa, fu piacevole alla guida e non presentò particolari insidie, seguendo il profilo della costa. Da Galeria a Bussaglia ci si allontanò dalla costa, percorrendo la parte di strada che si sviluppa verso l’interno. Il panorama in quel tratto cambiò notevolmente, dal paesaggio marino sembrò di essere stati catapultati in montagna, tra tornanti e fitti boschi verdi nei quali la strada si divincolava. Ma arrivati a Bussaglia, dopo una curva a gomito, il mare ricomparve ai nostri occhi, e fu il segnale che mancava poco alla nostra meta, una trentina di chilometri e avremmo raggiunto Evisa.
Esausti, fisicamente stanchi ma soddisfatti della giornata trascorsa in compagnia e coltivando la nostra passione, fu tempo di riposarsi. Doccia, cena, quattro chiacchiere a raccontarsi le sensazioni della giornata di fronte ad un bicchiere di vino, e ci coricammo. La mattina successiva eravamo pronti per una seconda giornata in sella per le strade della Corsica.
Secondo giorno – sabato

Ci alzammo di buon’ora, ci attendevano oltre trecento chilometri quel giorno. Sapevamo bene che sarebbe stato il giorno più lungo dei tre in sella alla nostra due ruote; quindi dopo una veloce colazione fummo tutti pronti all’ora concordata. Ognuno aveva i propri riti preparatori, e il bello di questa avventura fu anche conoscersi meglio e scoprire questi aspetti personali. Mi affascinò molto notare le diverse abitudini per preparare quella giornata e la cura che si dedicava alla propria bella moto fin dal mattino. Yuri e Ricky, per esempio, erano i primi a uscire, in largo anticipo, per scaldare a fondo i pistoni e i cilindri delle rispettive Ducati e Harley. Nei gesti di quella semplice pratica, per alcuni magari superflua, c’era tutta la loro passione per le due ruote; gesti non automatici, ma con una cadenza ben precisa… controllo livello liquidi, regolazione luci, suono del motore, temperatura. Tutto quello che serve per coccolare la propria bimba e prepararla alla lunga giornata. E poi c’era chi come me o Marvin, che sia per una minor sensibilità a questi aspetti e le minor conoscenze di motori, arrivava all’ultimo minuto, infilava il casco, accendeva la moto e partiva. E poi c’era “il Botta”, all’anagrafe Stefano, l’esperienza del gruppo non solo per la carta d’identità, che si assicurava ci fossimo tutti prima di metterci in strada. Ognuno aveva un modo tutto suo di vivere la passione di quell’esperienza, estremamente personale, quasi intimo.
Da Evisa imboccammo la D70, strada statale che ci condusse verso il mare, incontrandolo al paese di Sagone. Da lì diventò D81 fino ad Ajaccio, paese natale di Napoleone Bonaparte. Questo tratto fu piacevolmente guidabile, abbastanza lineare e si divise tra una parte costiera e una più collinare dalle parti di Ajaccio. La strada proseguì in direzione sud, e alternò tratti interni a chilometri adiacenti al mare, riservandoci in alcuni punti panorami affascinanti, soprattutto al tramonto. Decisamente la parte di tragitto che ho apprezzato maggiormente. Guidare con il sole in faccia, anche se di intensità calante, non è mai la condizione migliore; ma vivere quel serpentone di motociclette, che disegnavano quelle curve chiuse tra le montagne corse da una parte e il luccichio del mare al tramonto dall’altra, mi regalò sensazioni indelebili, che ancora oggi ricordo.
Un po’ per la bellezza del paesaggio e in parte per la stanchezza delle ore di guida, facemmo diverse soste, arrivando così a Figari, paese dove cambiammo direzione, risalendo verso l’interno dell’isola, a serata già iniziata. Ce l’eravamo presa comoda, forse un po’ troppo per la tabella di marcia che ci eravamo prefissati, ma contrariamente alla volontà del b&b che ci aspettava, preferimmo goderci quella giornata senza troppi vincoli di orario. Come biasimarci?
Dopo l’ultima sosta nei pressi di Plage de Roccapina, con secondo bagno annesso, ci incamminammo per l’ultimo tragitto che ci divideva dalla nostra meta: un bellissimo b&b immerso nel verde dell’interno corso, nel paese di Corte. Sapevamo che il tratto interno non aveva la stessa scorrevolezza dei chilometri precedenti, ma non pensavamo che ci avremmo impiegato il lungo tempo che poi realmente fu. Non facemmo alcuna vera sosta tra Figari e Corte, se non per qualche respiro d’aria fuori dal casco. Fu il tratto più pesante, a momenti il sangue nelle braccia sembrava fermarsi per la scomoda posizione di guida, e le gambe anestetizzate dalle vibrazioni del motore. Calata la luce del sole, ci imbattemmo in veri e propri sciami di piccoli insetti talmente fitti che al nostro arrivo per scrollarli dalla visiera del casco e dalle tute dedicammo molto tempo e tanto olio di gomito.
L’ideale sarebbe stato avere più tempo da dedicare all’interno della Corsica. Oltre alle differenze di paesaggio che si incontrano a distanza di pochi chilometri tra loro, si possono visitare corsi d’acqua con cascate naturali per rinfrescarsi o incontrare per strada intere famiglie di porcellini selvatici di montagna o piccoli cinghiali. Avevo già visitato la Corsica un paio d’anni prima e avuto la fortuna di scoprire meglio quest’area, ma ve ne parlerò in un articolo a parte.